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Immagine del redattoreDott. Lorenzo Bisoffi

Mettere o non mettere il ghiaccio su un trauma?


Esercizio fisico durante la gravidanza

Nella gestione degli infortuni, l’uso del ghiaccio è un argomento davvero molto “caldo”... E il dibattito fra chi è pro al ghiaccio e chi è contro è tutt’altro che risolto!


Il problema risiede nel fatto che durante gli anni la ricerca scientifica ha modificato quasi completamente l’opinione sull’uso del ghiaccio e dunque non c’è da sorprendersi se c’è molta confusione tra medici e fisioterapisti di vecchia e nuova leva su come dobbiamo comportarci con i nostri pazienti che presentano un trauma acuto come una brutta distorsione alla caviglia.

Quando ci prendiamo una brutta storta, viene quasi per istinto metterci sopra una borsa del ghiaccio, no? Questo tipo di comportamento è anche sostenuto da quello che vediamo quotidianamente in televisione; avremo tutti assistito a scene sportive in cui il medico entra in campo e la prima cosa che fa è spruzzare ghiaccio spray o porre una borsa del ghiaccio al giocatore infortunato.


Insomma il ghiaccio sembra ancora essere ancora parte integrante (se non l’unica cosa che viene fatta) nel management di un trauma acuto, ma cosa dice la scienza al riguardo?



Background teorico

Facciamo un passo indietro, precisamente nel 1978 quando il dott. Gabe Mirkin coniò l’acromico RICE per definire il protocollo da utilizzare nella gestione di un trauma.

RICE significa in inglese R (rest = riposo), I (ice = ghiaccio), C (compression = compressione), E (elevation = elevazione) dell’arto infortunato ovvero il protocollo prevede la presenza sempre e comunque di riposo della parte lesa, ghiaccio locale, compressione della parte infortunata più elevazione dell’arto per favorire il drenaggio dei liquidi. L’uso del ghiaccio, in particolare, aveva l’obiettivo di minimizzare la cascata infiammatoria ed accelerare la guarigione del tessuto.

Dopo essersi imposto per quasi 20 anni nella routine di gestione dei traumi, il protocollo RICE fu modificato con l’aggiunta della P (protection = protezione), diventando protocollo PRICE per riconoscere l’importanza anche della protezione della parte lesa.

Infine, PRICE venne sostituito da POLICE, protocollo che per la prima volta vide definitivamente l’abbandono del rest-riposo a favore di Optimal Loading, ovvero “carico ottimale”.


La ragione di questo cambiamento?

La ricerca ha identificato che caricando in maniera adeguata il tessuto viene stimolato il recupero attraverso una rigenerazione tissutale già nelle fasi più acute. Il riposo assoluto quindi è stato definitivamente abbandonato come raccomandazione clinica.


Anno 2019: nasce il Protocollo PEACE & LOVE. Finisce l’era del ghiaccio?

Partiamo da un consenso unanime su cui siamo tutti d’accordo: il ghiaccio agisce come ottimo analgesico attraverso un raffreddamento della pelle.

Detto ciò, l’impatto che può avere sui tessuti sottostanti è inconsistente, dal momento che la temperatura dei muscoli non sembra cambiare con l’applicazione del ghiaccio. Quindi, rispetto a quanto si credeva nel 1978 (quando venne coniato il protocollo RICE e successivi) le proprietà curative del ghiaccio vacillano. Possiamo dire che applicare il ghiaccio su un trauma ci fa “stare meglio”, almeno nell’immediato. Ma quali sono gli impatti del ghiaccio nel medio e lungo termine?


Persino il dott. Mirkin, nel 2014, confutò il suo stesso protocollo RICE alla luce delle ultime evidenze e sottolineò che “usare ghiaccio e riposo assoluto non sembrano favorire la guarigione, bensì possono ritardarla!” Infatti, il dott. Mirkin concluse che dopo un trauma si attiva una cascata di reazioni biochimiche che fanno parte del processo infiammatorio, tra le quali l’ormone insulin- like grow factor (IGF-1).

Se prima dunque la volontà comune era considerare l’infiammazione come un nemico da contrastare, oggi sappiamo invece che la reazione infiammatoria è la primaria reazione del corpo per riparare il danno ricevuto. Le cellule infiammatoria infatti cominciano la guarigione attraverso la loro azione fagocitaria dei tessuti danneggiati. L’applicazione locale del ghiaccio dunque, potrebbe impedire o ritardare la secrezione di questo ormone ed ostacolare di fatto il normale processo di guarigione dei tessuti.


L’uso del ghiaccio come strumento di cura post-trauma venne definitivamente abbandonato nel 2019 e venne l’ultimo ed attuale nuovo acronimo nella gestione dei traumi PEACE & LOVE: (Protection, Elevation, Avoid Anti-Inflammatory Drugs, Compression, Education & Load, Optimism, Vascularisation and Exercise) ovvero protezione, elevazione dell’arto leso, evitare anti-infiammatori per quanto possibile, comprimere l’area lesa, educare il paziente alla corretta gestione del carico, vascolarizzare la parte per attivare il microcircolo locale e proporre esercizio sin dalle fasi più acute.


Implicazioni cliniche

Ma allora… alla luce di queste nuove evidenze ci sorge una domanda: ghiaccio SI o ghiaccio NO?

La risposta? Probabilmente no… possiamo però concordare su un fatto: il ghiaccio rimarrà e rimane sempre un ottimo analgesico in caso di trauma.

Ma non solo: quando l’infiammazione è eccessiva, come in caso di traumi con edema molto vasto, tutto questo liquido potrebbe di fatto rallentare la guarigione. L’eccesso di edema infatti comprime in maniera eccessiva i tessuti, riduce il movimento, aumenta il dolore e diminuisce le capacità di movimento del corpo.

Queste situazioni possono accadere ad esempio con una distorsione di caviglia severa oppure a seguito di un intervento chirurgico importante. In queste circostanze allora il ghiaccio può risultare molto utile per limitare l’edema, senza necessariamente contrastarlo.



CONCLUSIONI


Quindi, in conclusione, il ghiaccio lasciamolo in freezer ma teniamo sempre alla portata di mano. Il ghiaccio rimane sempre una soluzione valida per limitare il dolore e l’eccesso di edema, dunque averlo a disposizione è sempre utile.


Il motto di oggi? Meno ghiaccio possibile, incoraggiamo il movimento sicuro il prima e il più possibile e per tutto il resto… PEACE & LOVE!


 

STUDY REFERENCE

Mirkin, G. & Hoffman, M. (1978). The sportsmedicine book. (1st ed.). Little Brown and Co.



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